giovedì 28 marzo 2013

Il Respiro del lupo: L'incontro


Parte 1 di Il Respiro del lupo

L'incontro


Era al quinto bicchiere di cognac e alla sedicesima sigaretta. Per Louis, un giovane uomo ordinario, tutto procedeva regolarmente; seduto sempre sulla stessa sedia nello stesso spazio del bancone. Stretto nella morsa della quotidianità, egli oramai era assuefatto dall'aria industriale del bar, pieno di fumo di tabacco e di odori acri dalla cucina. Ciò che aggravava la situazione era l’inverno; quella ripetizione giornaliera diventava più estenuante e pesante del solito. I giorni plumbei e freddi, il poco lavoro e la mancanza intensa facevano affogare lentamente Louis in una piena consapevolezza senza scampo.
“Tutto ciò può cambiare!”. Così era arrivata alla sua mente quell'affermazione, lampante e chiara. Fece cadere la sigaretta appena accesa. Cercò di finire il bicchiere ordinato, ma all'istante ebbe un rifiuto di alcool e mancò poco che lo sputasse addosso al compagno di banco. Pagò e regalò il pacchetto di sigarette. “Ora si va, si esce dal locale!”.
Uscito, ricordò subito l’aria sottile che regnava su tutta la pianura. La maledì per un semplice motivo, essa riusciva a infiltrarsi tra gli indumenti, sorpassando le chiusure ermetiche della giacca, le trame fitte e abbracciate del maglione rosso, per arrivare alla maglietta finale e colpire la pelle sensibile, le ossa, il sangue.
Nessuno e niente riusciva a sfuggire a quella piaga, il Grande Freddo del Grande Nord.
A quel punto Louis doveva solamente forzare il passo e camminare, marciare per quattro chilometri lungo la Ice King Road.
Suppongo che in parte si riesca ad immaginare la strada bianca, la quale tagliava in maniera irregolare un paesaggio rigido, bianco e totalmente immobile. La vita in quei posti aveva conservato ed esaltato il suo istinto primordiale, l’istinto alla sopravvivenza. Tutto ciò si riscopriva nei volti delle persone che lì vivevano e lì procreavano. Poche anime dalle facce scarne, con la pelle arrossata, gli occhi nascosti e indifferenti alle poche novità che arrivavano da distante sfinite e slavate.

Sebbene il ventisettenne Louis stesse resistendo con tutte le sue forze alla caduta irrefrenabile nell'apatia, la sua faccia stava iniziando a conformarsi  per espressione a quelle dei paesani. 
Tuttavia quella mattina la resistenza e la paura di una vita monotona e piatta era scivolata via, aprendo un nuovo scenario. Quella medesima mattina Louis non riusciva più a placare i pensieri, ad assopire l’animo. Non si riconosceva più e per slegare il nodo di paura alla gola, si era fermato lungo la strada a guardare la propria immagine riflessa sulla superficie del lago ghiacciato. I lineamenti erano gli stessi e quindi era ancora lui. Si rispose allora che non era una questione di forma, ma di sostanza. Nel turbinio mentale di questa soluzione non si era accorto del sasso sulla strada, cosicché inciampò e sfregò rovinosamente il corpo sulla tavola stradale ghiacciata. Meno male che mancavano meno di duecento metri per rinchiudersi in casa, la quale era distante dalle sette abitazioni nel centro del paese, che formavano un clan insieme alla chiesa, alla farmacia e al piccolo ambulatorio per le emergenze. Raggiunta, si trascinò con il ginocchio dolorante fino all'uscio della porta, inserì la chiave forzando il giro come al solito. Si aprì con un ‘Tac’, ma non entrò. Il suo volto era rivolto verso l’interminabile distesa gelida. A circa cinquecento metri da lui si ergeva, come un leone nella Savana, un lupo. Sebbene fosse bianco, non si confondeva con la neve, poiché la sua figura era così maestosa che sembrava potesse sciogliere il gelo circostante. Il pelo folto e lungo attorno al collo lo faceva apparire potente e glorioso. Il giovane uomo lo fissò attentamente e notò che solamente attorno agli occhi l’animale aveva piccole sfumature grigie, le quali nell'insieme sporcavano il bianco manto. Arrivato agli occhi Louis non riuscì più a distogliere lo sguardo. L’iride marrone chiaro in contrasto con la pupilla nera e profonda. I battiti aumentarono all'istante  il respiro si spezzò. Gli occhi del lupo erano i suoi occhi, che ora erano lucidi e infiammati. Il naso del lupo, anch'esso nero, emetteva fiumi di condensa e le orecchie a forma di triangolo erano dritte e pelose, attente ad ogni minima variazione dell’ambiente. Louis iniziò ad avanzare automaticamente verso il campo, superando lo steccato di legno marcio. Era un moto istintivo di cui non aveva più alcun controllo. Non percepiva più il vento freddo né il dolore al ginocchio. Non percepiva più la sottomissione alla dialisi quotidiana. Il cuore stava scoppiando, il corpo era caldissimo, il suo fiuto si era affinato e riusciva a catturare l’odore del lupo. Avanzando, i suoi piedi sfondavano il manto nevoso oramai indifeso.

Da distante Robert Stevens aveva notato lo strano animale vicino alla casa di Louis, ma subito non aveva dato molta importanza, fino al momento in cui avvistò il giovane, prima avvicinarsi, poi iniziare a correre all'impazzata contro il lupo bianco. Frenò di colpo il pick-up e scese in tre secondi. Voleva intervenire, ma non sapeva cosa fare. Cosa si doveva fare? Con gli occhi sgranati vide le due fisionomie fermarsi ad un metro di distanza l’una dall'altra.  Rimase lì, immobile.

Louis non pensava più, osservava e percepiva. Stava mangiando gli occhi dell’essere che aveva davanti e respirava profondamente. In uno scenario surreale gli occhi marrone chiaro con pupille nere abbracciarono quelli dell’umano interlocutore. Di lampo l'essere umano sentì calore sul palmo della mano destra, seguito da una generosa leccata. Il lupo aveva messo il muso dentro la mano semi aperta e lo guardava, imprecando le carezze. L’uomo e il lupo. Due animali si erano incontrati e si erano accettati.
A tal punto Louis pensò stupidamente che era ora di spolverare la sua slitta e formare una nuova muta di cani, comandati senza alcun dubbio dal lupo bianco. L’indomani avrebbe venduto la casa e tutte le sue proprietà. Ma a questo poteva pensarci anche in casa. Si girò e cercò di farsi seguire, ma l’animale non lo seguì. Si girò e con un ululato andò a disperdersi nel bianco.
“Non si può possedere nulla della natura, perché non esistono veri recinti, veri pappagalli da compagnia, veri cavalli domati. Non si possiede nulla del mondo, perché nessuno e niente ti possiede, ma tutto interagisce".


Robert risalì in macchina e come un automa raggiunse il paese. Non ricordava molto e non capiva nulla. Lui, ormai settantenne, sentiva qualcosa di strano ed emozionante. Forse era un istinto assopito. Ora come ora voleva andare all'avventura, voleva sentire l'acqua gelida sulla pelle e il suono della foresta. Decise che l'indomani avrebbe chiamato Louis per proporgli un'idea sensazionale: fare il giro del mondo. 


                                                                                                           di Ermanno Gelain

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