[..] «Devi scusarmi» disse Karen «di aver cominciato in questo modo. Non è molto gentile, vero? Una brutta abitudine contratta nei miei anni di studi, immagino. Ascolta Henry… L'intelligenza è una cosa, l'intelligenza innata, intendo. La conoscenza è un'altra. Conoscenza e formazione, dovrei dire, infatti le due vanno insieme. Quel che tu sai, l'hai racimolato a casaccio. In quanto a me, sono stato sottomesso a una disciplina rigorosa. Ne parlo perché tu comprenda come mai vado così a tastoni invece di rispondere chiaramente. in questioni come questa, non parliamo la medesima lingua, tu e io. In un ceto senso, perdonami il pensiero, tu sei paragonabile a una selvaggio di tipo superiore. Il tuo quoziente intellettuale probabilmente non è meno elevato del mio, forse è anche più elevato. Però noi affrontiamo il dominio della conoscenza in due modi diametralmente opposti. Per via della mia formazione della mia cultura generale, mi può benissimo capitare di sottovalutare la tua capacità di afferrare quel che ti devo dire. Tu, da parte tua, sei molto propenso a pensare che io chiacchieri a vuoto, che spacchi il capello in quattro, che faccia sfoggio di erudizione.» Lo interruppi:
«Sei tu che immagini tutto questo» dissi. «Io non ho nessuna idea preconcetta. Poco m'importa come tu faccia; purché tu mi dia una risposta precisa.»
«Esattamente quel che mi aspettavo di sentirti dire, vecchio mio. Per te, ciò è semplice e netto. Non per me! A me hanno insegnato che prima di porre domande di questo genere, devo essere convinto di non sapere trovare in qualche altra parte la risposta…Intanto, tutto questo non vuol dire nulla, non è vero? Adesso vediamo un poco…Che cosa precisamente volevi sapere? È importante precisarlo bene, altrimenti finiremo nelle paludi pontine.» Rilessi il secondo passo, mettendo l'accento sulle parole «meno trascinato dalla fantasia».
Con mia propria sorpresa, dissi:
«Non importa più, lo capisco perfettamente adesso.»
«Davvero?» esclamò Karen. «Spiegamelo dunque, per favore.»
«Mi ci proverò» dissi «sebbene tu debba renderti conto che una cosa è capire e un'altra spiegare a qualcuno.»
(E così ti ho rimandato la palla, pensai.) Poi, con completa sincerità, cominciai:
«Se tu fossi un profeta invece di un essere medico p matematico, direi che ci sia una certa somiglianza fra te e Nostradamus. Intendo nel modo in cui ti metti all'opera. L'arte profetica è una dono, esattamente come l'istinto matematico, se posso chiamarlo così. Nostradamus, a quanto pare, non ha voluto sfruttare il suo dono naturale nel modo solito. Come sai, era dotto non soltanto in astrologia ma anche nella arti magiche. Conosceva le cose occulte, vietate all'erudito. Era non soltanto medico, ma anche psicologo. Era molte, molte cose nello stesso tempo. In breve, aveva aveva la padronanza di tante coordinate e questo gli mozzava le ali. Si è limitato, lo dice con soggezione di causa, ai dati del fatto, come no scienziato. Nei suoi voli solitari, passava da un piano all'altro, con fredda precisione, sempre fornito di strumenti, di carte, tabelle e chiavi segrete. Per quanto macchinose le sue profezie ci possano apparire, dubito che abbiano origine dal sogno e dalle fantasticherie. Ispirate lo erano, incontestabilmente. Ma tutto porta a credere che Nostradamus si è coscientemente rifiutato di lasciar correre la sua fantasia. procedeva obiettivamente, in certo qual modo, anche quando (per paradossale che possa sembrare) era in trance. Quanto c'è di puramente personale della sua opera…esito a chiamarla creazione…è riconoscibile nella velata formulazione degli oracoli, e lui ne ha spiegato chiaramente il motivo nella prefazione a Cesare, suo figlio. C'è un tono spassionato in queste rielezioni che, si sente, può essere esclusivamente attribuito a modestia sua. Insiste nel dire che il merito va a Dio, non a lui. Ora un vero visionario sarebbe pieno di fuoco riguardo alla rivelazioni concessegli; si affretterebbe o a ricreare il mondo secondo la sua saggezza divina dalli assaporata, o a unirsi al suo Creatore. Un profeta, ancor più egoista, si servirebbe della sua illuminazione per vendicarsi dei suoi simili…Io azzardo tutto questo a caso, capisci.» [..] «Non ho nessuna intenzione di fare il pensatore, sai. Voglio scrivere.Voglio scrivere sulla vita, sulla vita com'è. Gli esseri umani, a qualunque specie appartengano, sono per me cibo e bevanda. Amo parlare di altre cose, certo. La nostra conversazione di ora, questo è nettare e ambrosia. Non dico che non conduca a nulla, no, niente affatto, ma preferisco riservare questo nutrimento per il mio piacere personale. [..] Amo l'idea din on arrivare a nulla. Amo l'idea del gioco per amore del gioco. E soprattutto, per quanto possa essere miserabile, abborracciato e orribile, amo questo mondo di essere umani. Non voglio tagliare gli ormeggi. Forse quel che mi affascina nella vita dello scrittore è la necessità di una comunicazione con tanta gente diversa, con tutti.»
Henry Miller, da Plexus, da 375-380.
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