sabato 30 marzo 2013

Il Paese: Un giorno di primavera


Parte 2 di Il Paese

Un giorno di primavera



Elouise stava camminando sul prato infinito, vicino al bosco di cedri e pini e poco distante dal lago; il punto più estremo del paese. Là nessuno si avventurava, poiché troppo distante dalla sicurezza di due mura e un fuoco; era il confine con il mondo. Lei era felice, perché nessuno poteva disturbarla nella raccolta dei fiori che quel campo ogni anno in primavera le regalava. Li raccoglieva in immensi cesti di vimini, suddividendoli per colore e per forma. Sfruttando l’aria riscaldata dal primo sole il profumo del raccolto riusciva ad inebriare le api e a mandare in avaria le farfalle. Tale esplosione di vivacità della natura aveva fatto emozionare la ragazza, la bellissima ragazza. Perché sì, ci eravamo dimenticati di descriverla. 
Senza se e senza ma, che solitamente si aggiungono per non esagerare e non cadere nell'abbondanza,  lei era meravigliosa. In quel prato verde rubino, che solamente l’alternanza di pioggia intensa e sole riusciva a far risaltare; là non c'erano dubbi: Elouise era diventata donna.
Camminava a piedi nudi cercando i punti dove l’erba era più asciutta e più alta, affinché potesse sentire i fili verdi cercare spazio tra le sue dita. Le piaceva quando il lieve vento muoveva il prato, quasi fosse un mare in tempesta.  Uno spettatore esterno ed estraneo sarebbe rimasto incantato non dalla natura circostante, bensì da quella donna in controluce. Sarebbe stato in grado di vedere il vestito rosso intenso con piccoli fiorellini bianchi e neri dare forma e morbidezza al corpo, esaltandone i fianchi curvi e il seno. Tra la concavità di quel seno generoso cadeva quasi divertito un pendaglio a foglia, appeso a una fine catenella d’oro. La giornata soleggiata colpiva il giallo dorato in contrasto con la pelle di rosa candido dalla punta dei piedi fino alla fronte. Piccole macchioline di lentiggini dipingevano il naso, le guance e i lineamenti magri del viso. Esse non avevano osato però avvicinarsi alla bocca, alle labbra. Qualsiasi ammiratore nascosto avrebbe esordito con un “Uau!”. E istintivamente avrebbe voluto prima mordicchiare in maniera lieve, e baciare intensamente poi quelle labbra rosee e formose.  Finora erano rimaste inviolate;  i ragazzi del paese erano troppo orgogliosi, troppo rigidi e seriosi per giocarsi una carta. In quel momento a Elouise non importava, soprattutto in presenza di quel vento primaverile e di quei raggi, uniti in sinergia per mostrare ai tronchi degli alberi che esisteva un marrone più vivo e più estasiante, il marrone chiaro che espandeva i capelli lunghi e mossi. Sembravano profumati solamente ad osservarli ondulare e cadere sulle spalle ben definite, le quali volevano quasi attirare l’attenzione per segnalare delle clavicole, sì in evidenza, ma sempre morbide e femminili.  
Alla  schiena, nuda quel poco che il vestito di cotone concedeva, non servivano presentazioni. Scivolava prendendo delicatezza e sensualità lungo la colonna vertebrale, fin giù dove la pelle era di pesca e le linee dolci dune. Le mani utilizzate per cogliere i fiori erano lunghe, magre e un po’ venose, in armonia con le braccia soavi. Erano mani senza anelli e braccia senza ornamenti.
A questo punto, la descrizione diviene assai difficile e complicata. Con un’accennata forma a mandorla i suoi occhi lasciavano il tempo e lo spazio per entrare in una dimensione quasi surreale. Più che gli occhi, era lo sguardo, di un’iride verde speranza vicino alla pupilla, sciogliendosi in un blu oceano all'estremità. Le sfumature dell’iride avrebbero generato invidia in qualsiasi pittore esperto, il quale avrebbe consumato invano barattoli di colore con risultati più che deludenti.
Era un quadro perfetto che ritraeva una donna bellissima ma naturale, in sintonia con la natura. Un peccato, perché quel quadro con il passare del tempo stava diventando stretto e inadatto. E quel giorno di sole Elouise se ne rese conto. Doveva lasciare il paese e girare il mondo. Qualcosa in quei pensieri però la bloccava. Cosa avrebbero detto i suoi genitori? Si erano presi cura di lei a modo loro. Avrebbero sofferto nel loro silenzio in quel paese? O l’avrebbero seguita nelle strade ignote fuori dalla cinta protettiva?

                                                                                                                                                         di Ermanno Gelain

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