sabato 20 luglio 2013

Tronchi di nidi cavi

Tronchi di nidi cavi, concavi. 
Cortecce ora bagnate
al freddo buio tra le montagne 
lacerate dai tuoni.
Una polvere s'insinua tra i fari nuovi
quelli che salvano le volpi,
quelli che avvisano le più avanti ore 
passate ad osservare le luci rosse.

Non trema nemmeno un istante
colpa delle campane che ci osservano,
sempre limpide, sempre lucide
come lacrime che piangono.


                    •

Dove ho camminato gioendo,
dove ho pascolato tra le mie sorelle,
ora il ricordo ricoperto dal cielo scuronero,
macchiato qua e la,
stritola l'anima.
Mai vorrei essere dove sono stato:
a raddrizzare l'erba incurvata,
a riattaccare i rami spezzati
a consolare i tronchi mutilati.

E quelle stelle alpine e,
quelle farfalle di rosso dipinte ora spente.
E quelle pigne sopra letti di formiche.
Fa paura l'erba nera e 
gli sguardi che non mi guardano 
ma che fanno intendere 
nessun inizio,
nessun addio.

di Umberto Salazar

giovedì 4 luglio 2013

Luce di tapparella

È nei miei ricordi, quelli più remoti e fecondi. È l’immagine più forte di me bambino, che si svegliava dopo il sonno profondo.  E nel lettino gli occhi si aprivano e riempivano. Le fessure della tapparella venivano accarezzate e passate da luce. Essa, d’arancia, prendeva forma, si intrecciava alla polvere volante e si mostrava perfetta e suadente. E girando il testino, il bambino la vedeva danzare sulla parete non più bianca. Quell'attimo  io, quel bambino, allora estasiante magia, ora la pace più profonda e piena d’amore.
 
                                                                                                                       di Ermanno Gelain

Mi immaginai in qualche posto


Mi immaginai là, seduto sul bianco e verde acqua treno, che scivolava dolce sulle rotaie. E dondolando lo zaino facevo brillare gli occhi sulla speziata aria dell'India. Rientrato poi nel vagone, non avevo caramelle, non avevo giocattoli per i bambini vivaci, ma sentivo il profumo della terra africana. Quell'intenso rosso aranciato da colorare per sempre la gomma delle scarpe. O le tieni o le butti via.
Ad un tratto mi immaginai l'impulso di scendere, posare il piede nella foresta selvaggia, una metropoli di alberi. Ma la perfetta solitudine e avventura immaginata si stava trasformando nella mia mente, diventando compagnia seducente. Quale aspettative di mangiare paesaggi e di baciare rose?
E in quel momento mi immaginai di aspettare il treno in una stazione remota dell'Alaska. Arrivò e le montagne mi salutarono con fragori di valanghe. Il freddo e bianco mi lasciarono, mi immaginai.
Venduto lo zaino ad un cinese incuriosito, mi sedetti e immaginai di non immaginare più. Mi accorsi dunque dell'eleganza dei miei vestiti, mi stupii dell'intensità dei miei talenti, condivisi il tempo e lo spazio con la donna di capelli neri. I suoi occhi di nero carbone, così tanto da non poter distinguere iride e pupilla. Tanto da non poter farsi domande. La sua pelle di sapor caffè-latte e la sua bocca di sapor fragola. Vestito di fiori di campagna.
Ritornai al mio corpo, chissà dove, lassù e capii che era ora di tornare giù. 


                                                                                                                    di Ermanno Gelain

mercoledì 3 luglio 2013

Zitto


Non ho visto aldilà dello specchio d'acqua
il grasso oblio, l'altro-mondo.
                 "Se credessi in Dio mi ucciderei adesso"









                             "Zitto". 




di Umberto Salazar

martedì 2 luglio 2013

Afferra questo mercurio, Edoardo Sanguineti.



afferra questo mercurio, questa fredda gengiva, questo miele, questa sfera
di vetro arido; misura attentamente la testa del nostro
bambino e non torcere adesso il suo piede
impercettibile:
nel tuo capezzolo devi ormai convertire
un prolungato continente di lampade, il fiato ossessivo dei giardini
critici, le pigre balene del ventre, le ortiche
e il vino, e la nausea e la ruggine;
perché ogni strada subito
vorrá corrergli incontro, un'ernia ombelicale incidere
il suo profilo di fumo, qualche ippopotamo donargli
i suoi denti di forfora e di fosforo nero:
evita il vento,
i luoghi affollati, i giocolieri, gli insetti;
e a sei mesi egli potrá raddoppiare il suo peso, vedere l'oca,
stringere la vestaglia, assistere alla caduta dei gravi;
strappalo dunque alla sua vita di alghe e di globuli, di piccoli nodi,
di indecisi lobi:
il suo gemito conquisterá le tue liquide ferite
e i suoi occhi di obliquo burro correggeranno questi secoli senza nome!

di Edoardo Sanguineti

Filò, Andrea Zanzotto



[..] e la poesía no l'è in gnessuna lengua
in nessun logo - fursi - o l'è 'l busnar del fugo
che 'l fa screpolar tute le fonde 
inte la gran laguna, inte la gran lacuna - 
la é 'l pie e 'l vódo della testa-tera
che tas, o zhigna e usma un pas pi in là
de quel che mai se podaràe dire, far nostro. 


e la poesia non è in nessuna lingua
in nessun luogo - forse o è il rugghiare del fuoco
che fa scricchiolare tutte le fondamenta
dentro la grande laguna, dentro la grande lacuna -,
è il pieno e il vuoto della testa-terra
che tace, o ammicca e fiuta un passo più oltre
di quel che mai potremmo dirci, far nostro.

da Filò, A. Zanzotto