giovedì 13 giugno 2013

Il Respiro del lupo: Danza sulla frontiera

Parte 3 di Il Respiro del lupo

Danza sulla frontiera

Il ragazzo non aveva dormito molto. Aveva passato la maggior parte della notte con la mente soffocata, bloccato in un turbinio di pensieri che lo punzecchiavano appena entrava nello stato di dormiveglia. Ed ora, seduto davanti alla tazza di caffè bollente al tavolo della cucina sentiva ogni fibra del suo corpo cedere alla stanchezza. Tuttavia non era la stanchezza che infastidiva Louis quella mattinata. Da qualche mese percepiva un’asfissiante vibrazione di irrequietezza, la quale era culminata con l’incontro sconvolgente il giorno precedente.
Davanti ai fumi indiani del caffè egli non ricordava lucidamente tutti i momenti passati in sintonia con il lupo; rimembrava solamente lampi di immagini, la corsa istintiva e il respiro tambureggiante di fronte al bianco animale. L’insieme era confuso.
“Louis!”. Il giovane sobbalzò dalla sedia. Davanti a lui  si ergeva il vecchio taglialegna del paese Robert, il quale stringeva in mano un cappello sfibrato dei Cubs.
Era stupito ed imbarazzato da quella visita inaspettata. Non lo aveva sentito entrare dalla porta sul retro ed era stato colto durante la sua intima riflessione. “Wei… Ciao Robert! Non ti ho sentito arrivare. Vuoi caffè? Siediti, siediti pure”.
“Certo, poco però. Ho la pressione alta e il dottore mi ha detto che non dovrei neanche vederlo!”.
“Ti darò una benda per berlo allora!”. “Racconta! Come procede il lavoro invernale?”.
Robert si sedette con fatica, agitando il capo con fare sconfitto, “ Il lavoro? Male Louis. Male. Oramai c’è troppa concorrenza ed essa è diventata animalesca. Spietata, sia con chi il mestiere lo fa da anni, sia con gli alberi e la natura stessa”.
Risistemandosi sulla sedia, il taglialegna iniziò ad innervosirsi visibilmente; strinse le grosse mani rosse e forti ai bordi della sedia di legno scuro.
Disse abbaiando:“Non si possono tagliare alberi giovani e forti e lasciare quelli vecchi e malati. Non c’è più una logica. Forse non è mai esistita”. “No! Non così! Giovanotto mio non intendo continuare e rendermi partecipe di tale scempio”, “Ho fatto il boscaiolo per necessità, non per denaro. Chiedevo ciò che mi serviva e lo prendevo con rispetto”.
La moca del caffè fischiava da qualche minuto, ma Louis era assente. A bocca aperta non riusciva a dare forma, a dare un reale significato al discorso del suo interlocutore. Allo stesso tempo però aveva compreso l’essenza di ciò che Robert stava affermando.
“Giovanotto, la caffettiera!”. E come un fulmine Louis scattò a spegnere il fornello. Non era rimasta neanche una goccia, e la caffettiera era bruciata al suo interno, aveva quasi raggiunto il limite di esplosione. “Che coglione! Va beh… Rob te lo rifaccio, abbi pazienza!”.
“Fa lo stesso Louis, non sono venuto qui per il caffè”. Il vecchio si risistemo sulla sedia e i bordi della sedia vennero stretti ancora di più dalle grosse mani. Era venuto il momento di esporsi, di proporre. Chiese: “Hai ancora la vecchia slitta di tuo padre?”.
“Certo che ce l’ho ancora. Tuttavia è mal ridotta. Le lamine sono da sistemare e parti in legno da cambiare”. “Il freno è da rivedere e le briglie sono da ricucire”.
“Perfetta. Nessun problema. I cani?”.
“Come i cani? Intendi i miei cani?”.
“Di chi altro? Ricordo che tanti anni fa tuo padre aveva la migliore muta dell’isolato. Cavoli tuo padre ne sapeva di cani! E sembrava che conducesse un’automobile al posto di una slitta. Tutti cani obbedivano a lui e dopo lui ad Asha. Che cane stupendo! Assomigliava molto ad un lupo; occhi ghiaccio, manto bianco con rare macchie grigio chiare”.
“Sì! Che cane meraviglioso!” rispose Louis, ricordando il caldo della lingua del cane che lo puliva sempre quando era sporco o infreddolito. Ora batteva forte il cuore, ed il perché era nella compagnia e nell'insegnamento che quel cane gli aveva dato. Era cresciuto lì, in un posto sperduto tra truciolati di legno e freddo. Asha lo aveva accompagnato dall'infanzia fino a gran parte dell’adolescenza. Lo aveva seguito da qualsiasi parte, lasciando sulla neve le grandi impronte. Protetto fino al giorno in cui si imbatterono in un grizzly. Asha non arretrò di un passo e combatté fino alla fine, fino alla fuga del grizzly, fino all'ultima carezza di Louis.
“Non ho più nessun cane, già da quando mio papà è morto”, “Ma perché mi chiedi di cani e di slitte?”.
“Beh… Non sono mai stato bravo a fare i discorsi. Pensavo di partire e pensavo che tu potessi accompagnarmi in questo viaggio”.
Piccole vibrazioni risalirono lungo la spina dorsale di Louis. “In questo viaggio?”.
“Si, sei giovane. Mi potresti essere d’aiuto e io a te”.
Louis di risposta aggiunse: “Ma cosa intendi con viaggio?”, “Quanti giorni? Ti serve una mano con il lavoro?”
“Macché lavoro! Che si fotta il lavoro! Giovanotto non pensi che sei qui sulla Terra per un motivo molto più importante che spaccarsi la schiena e lavorare tutto il giorno per tutti i giorni della tua vita. Per di più,  nel momento in cui non lavori ti senti in dovere di mostrarti impegnato, di dimostrare sempre e comunque qualcosa”.
“Fai della filosofia ora? Rob, io ho bisogno di lavorare, non ho molti soldi e pochi ne avevo prima che mio papà morisse. Dimmi come potrei lasciare tutto e partire? E una volta tornato cosa potrei fare? Rimarrò indietro con tutto”.
“Cosa lasci Louis? Pensavo non avessi granché da fare qua!”. La risposta del vecchio aveva colpito inconsapevolmente la profonda incertezza di Louis, nate negli anni a seguire. Senza un posto di lavoro fisso, senza alcun legame di parentela e affettivo, senza una reale passione, se non per la natura circostante. Cosa allora lo stava facendo dubitare? Cosa lo fermava nell’arruolarsi per quel viaggio, non conoscendo né tempo, né rotta, né destinazione?
Si sedette di fronte a Rob e senza forzature e vergogna disse: “Mi blocca la paura. Ho paura di andare via e scoprire poi che la cosa giusta era rimanere”, “Ho paura di lasciare tutto”. Nel confessare tutto ciò guardò negli occhi il vecchio. Il sorriso che nacque da quel volto battuto dal tempo lo stravolse completamente. Scoprì una lacrima camminare lungo la guancia.
“Lou! È normale avere paura, assolutamente normale. Comprendi che nulla di materiale è esente dalla potente energia della paura, tuttavia se consideri tale normalità, la paura perderà potere, che sarà tuo. Con tale potenzialità potrai danzare con la paura, potrai usufruirne a tuo rischio e responsabilità. Potrai prenderla in giro. E non pensare che stia parlando di coraggio. No. E non pensare di potere cogliere tutto nelle mie parole”. Il vecchio Rob si alzò e aggiunse: “Non ti obbligo, questo no di sicuro. Fa ciò che ti senti”.
“Lo so che non mi stai obbligando”.
“Sappi che il mondo è tuo, perché io ho il mio. Ma possiamo condividerlo, fino in America del sud”.
“E cosa ci servirebbero le slitte e i cani per questo viaggio?”.
“Loui non fare il comodo, questa vuol essere un’avventura, o viaggio-avventura”, “Senza aerei, autobus, automobili, moto. Senza alcun mezzo che inquina. O a piedi, o in bici e Lou, nel nostro caso dobbiamo percorrere un lungo tratto innevato di Alaska e Canada”. A quel punto Rob tirò fuori la sua pipa e l’accese. “Tieni! Fa un tiro!”.
“Ho smesso”.
“Dilettante. Ricorda che se non hai un vizio, devi creartelo”.
“E tu ricorda di ammazzare il vizio prima che il vizio ti ammazzi!”
“Per una pipa ogni tanto. Comunque se ne vuoi sapere di più devi venire. Tu la tua slitta, io la mia”.
“E per i soldi. Io non ne ho molti. Per la slitta e cani riesco a pagare, per il dopo no. Sai che qui il terreno non si vende. Nessuno compra”.
“Non preoccuparti. Io sono vecchio, mia figlia ha la sua vita e di conseguenza a me i soldi non servono. Ti do i miei e li condividiamo, solamente se ci stai però”, “Ora non hai più scuse giovincello!”.
Era vero. Non aveva più scuse e aveva ancora paura. Che fare? Doveva e voleva decidere subito.
“Poi giovanotto, tutti gli uomini hanno un’amante messicana”.
“Non penso siano il massimo. Vorrà dire che tu prendi le messicane e le brutte e io tutte quelle belle e sorprendenti”.
“Questo sarebbe un si?” chiese il vecchio ergendosi dalla sua sedia.
“Direi di si”.
“Allora posso spiegarti cosa ho in mente. Si parte senza programma, diretti in America del sud”, “ Ti sta bene?”.

“Non lo so se mi stia bene tutto ciò. Penso non mi importi molto. Sto danzando sulla frontiera della paura e  dell'ansia”. 
                                                                                                         di Ermanno Gelain

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