venerdì 28 giugno 2013

Léon-Gontran Damas



















E gli zoccoli
delle bestie da soma
che in Europa martellano
l'alba ancora indecisa
richiamano a strana abnegazione
delle ceste ricolme che al mattino
ritmano alle Antille
le anche delle portatrici
in fila indiana.

E la strana abnegazione
delle ceste ricolme che al mattino
ritmano alla Antille
le anche delle portatrici
in fila indiana
richiama gli zoccoli
delle bestie da soma
che in Europa martellano
l'alba ancora indecisa.




Léon-Gontran Damas (né le 28 mars 1912 à Cayenne, mort le 22 janvier 1978 à Washington, DC), est un écrivain, poète et homme politique français. Léon-Gontran Damas était métis blanc, amérindien, noir.
Il est cofondateur du mouvement de la négritude avec Aimé Césaire et Léopold Sédar Senghor dans les années 1940. Grand amateur de jazz, il publia en 1937 Pigments, recueil de poèmes préfacé par Robert Desnos où il se révolte avec violence contre une certaine éducation créole d'inspiration bourgeoise qu'il voit comme une acculturation imposée. Un de ses grands thèmes est la honte de l'assimilation. Engagé dans la politique, il fut député de Guyane.
Il fit à Paris des études de droit puis, à l'École des langues orientales, de russe, de japonais et de baoulé.

Léon-Gontran Damas est né à Cayenne, dernier des cinq enfants de Ernest Damas (1866-?), mulâtre européen-africain, et de Marie Aline (1878-1913), métisse amérindienne-africaine originaire de Martinique. Une sœur jumelle, Gabrielle, née quelques minutes avant lui, mourut en bas âge. À la mort de sa mère, son père confia leurs cinq enfants à sa sœur Gabrielle Damas. En 1924, Léon-Gontran fut envoyé en Martinique pour ses études secondaires au Lycée Victor-Schoelcher ; c'est là qu'il rencontra Aimé Césaire qui allait être pendant longtemps son proche ami et collaborateur.
En 1929, il vint à Paris pour ses études supérieures. Il fréquenta le salon littéraire de Paulette Nardal. C'est là qu'il rencontra Léopold Sédar Senghor. En 1935, les trois jeunes gens publièrent le premier numéro de la revue littéraire L'Étudiant noir, fondatrice pour ce qui allait être appelé la négritude, mouvement littéraire et idéologique d'intellectuels noirs francophones rejetant la domination occidentale en matières politique, sociale et morale.
En 1937, Damas publia son premier livre de poésie, Pigments. Damas s'engagea dans l'Armée française durant la Seconde Guerre mondiale, et fut ensuite député de Guyane (1948-1951). À ce titre,il présida la Commission d’enquête parlementaire chargée, en 1950, d'enquêter sur les incidents survenus en Côte d'Ivoire et la répression coloniale (Rapport Damas, Journal Officiel, documents parlementaires. Assemblée nationale, n° 11348. [12). Ce rapport est une source bien connue des historiens.
Dans les années suivantes, il voyagea et donna des conférences un peu partout en Afrique, aux États-Unis, en Amérique latine et dans les Antilles. Il fut aussi l'un des rédacteurs de Présence africaine, important périodique d'études noires, et délégué auprès de l'UNESCO pour la Société Africaine de Culture.
En 1970, Damas vint à Washington, où il enseigna à l'université de Georgetown, puis devint professeur à l'Université Howard. Il y demeura jusqu'à son décès en janvier 1978. Il est enterré en Guyane.


da http://fr.wikipedia.org/wiki/Léon-Gontran_Damas






Eugenio Montale


















Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi; fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

da Ossi di seppia.




LA VITA

Nato a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia della media borghesia.
Sempre indeciso sull’indirizzo da dare alla propria vita “pratica”, il poeta arriva fino ai 30 anni senza un lavoro fisso; nel 1927 finalmente venne assunto come redattore presso la casa editrice fiorentina Bemporad.
Dovette quindi trasferirsi a Firenze, dove nel 1929 venne nominato direttore della Biblioteca del Gabinetto Vieusseuxfino al 1938, quando fu allontanato dall’incarico perché si era sempre rifiutato di prendere la tessera  del Partito fascista.
Questi anni sono caratterizzati da una straordinaria intensità di rapporti umani e culturali. In questo periodo si situa anche l’inizio del rapporto affettivo con Drusilla Tanzi, che sarebbe divenuta ben presto la compagna e poi la moglie di Montale.
Dopo la Liberazione Montale partecipò (per gli affari culturali) al Comitato di liberazione nazionale e aderì, ma per poco, al Partito d’azione (unica e breve partecipazione attiva alla vita politica).
Nel 1948 si trasferisce a Milano, dove lavora come redattore del “Corriere della Sera”; l’attività giornalistica continua quasi fino alla morte, sopraggiunta nel 1981.
Gli ultimi anni sono prodighi di riconoscimenti nazionali (per esempio la nomina a senatore a vita nel 1967) e internazionali (ricordiamo, fra tutti, il premio Nobel assegnatogli nel 1975).



LE OPERE

L’itinerario poetico di Montale è segnato da un’evoluzione che dal sublime della prima stagione giunge all’abbassamento comico-prosastico dell’ultima fase.
Con una schematizzazione estrema possiamo individuare il tema fondamentale della poesia montaliana nell’insanabile crisi del rapporto fra l’uomo contemporaneo e il reale.
Il disagio, il “male di vivere”, è dunque il filo rosso che unisce, pur attraverso varietà di modi, toni, situazioni poetiche, la prima stagione, che ha inizio con la raccolta “Ossi di seppia”, all’ultima stagione.
La Raccolta d’Esordio: “Ossi di Seppia”
Ossi di seppia: la raccolta comprende testi elaborati tra il 1920 e il 1925 (con la sola eccezione di “Meriggiare pallido e assorto”, che risale al 1916), in parte già apparsi in rivista.
Questa la struttura della raccolta: fra la poesia di apertura (In Limine, “sulla soglia”, in latino) e quella di chiusura (Riviere) si collocano quattro sezioni intitolate Movimenti (tredici componimenti),Ossi di seppia ( ventidue), Mediterraneo (un poemetto in nove parti), Meriggi e Ombre (quindici componimenti).
La poesia degli Ossi è una poesia antieloquente e in negativo: non ha nessuna verità o certezza da rivelare, ma si limita a registrare la profonda angoscia del poeta, la sua “disarmonia” con il mondo, il suo “male di vivere”, appunto, che trova espressione in celebri metafore, quali camminare lungo un muro ”che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, essere imprigionati in una rete, essere legati da una catena; talvolta si intravede una possibilità di salvezza. Ma è una possibilità suggerita, vaga.
Montale non vuole e non può darci la formula risolutiva; nessuna certezza positiva, ma solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Gli Ossi di seppia che danno il titolo alla raccolta, e cioè le conchiglie di certi molluschi, presenze inaridite e ridotte al minimo, appaiono emblematici di questa poetica dello “scabro ed essenziale”.
I motivi che attraversano la raccolta sono :
  1. il paesaggio
  2. l’amore
  3. l’evasione, la fuga


IL LINGUAGGIO POETICO

Se la realtà osservata si rivela frantumata e sfuggente, il linguaggio poetico è al contrario, preciso ed esatto.
Ogni oggetto poetico è designato dalla parola con assoluta precisione, legato a un solo significato.
Essenziale e non ridondante è il lessico, e a tal fine Montale ricorre sia a termini tecnici che dialettali, che aulici.
La caratteristica preminente della lingua degli Ossi è la ricchezza lessicale: sono molti i vocaboli con un numero di occorrenze basso, talora veri e propri Hapax (cioè vocaboli che si presentano nell’opera una sola volta).



Modelli

Fondamentale è stato il contributo di D’Annunzio al costituirsi della tecnica metrica montaliana, soprattutto per l’uso degli sdruccioli, la rima ipermetra, l’assonanza. La metrica degli Ossi non è una metrica rivoluzionaria. I metri tradizionali sono frequenti, settenari, novenari, endecasillabi.
Oltre che della lezione dannunziana, gli Ossi risentono anche di altre molteplici letture:

  1. Il Dante della Commedia e quello delle rime petrose.
  2. Da Pascoli, Montale eredita non pochi usi a livello metrico e lessicale: motivi quali la presenza dei morti e l’ostilità della natura.
  3. Ma tracce lasciano nella sua poesia anche i simbolisti francesi, soprattutto Verlaine.

Seconda raccolta, “Le Occasioni”

Permane il motivo fondamentale della “disarmonia” e del dolore esistenziale, ma cambiano alcuni elementi: il paesaggio non solo non è più ligure ma toscano (il poeta si è trasferito nel frattempo a Firenze).
Se negli Ossi il poeta dialogava solo con il mare (tema principale della prima raccolta) o con un generico Tu, ora cerca interlocutori reali, concreti (ma per lo più fisicamente assenti); l’interlocutrice prediletta è una figura femminile.
Nell’opera di Montale la prima fase è negativa e distruttiva: egli non ritrova un oggetto nella cui realtà possa aver fiducia. La seconda fase è relativamente positiva.
Gli Ossi esprimono la consapevolezza del “male di vivere”, mentre nelle Occasioni domina la ricerca di ciò che può costituire un’eccezione alla negatività, all’assurdo del reale: la ricerca insomma del “fantasma che ti salva”, che è qui un “fantasma” femminile, quello di Clizia.
La valenza simbolica degli oggetti si accentua e si assolutizza.


Terza raccolta: “La Bufera e altro”

La situazione storica, esterna, che fa da sfondo alla nuova produzione poetica si è fatta intanto, e si va facendo, sempre più cupa: il regime dittatoriale si è inasprito e all’orizzonte si addensano minacciose nuvole di guerra, le stesse che dominano la terza raccolta.
A differenza degli Ossi e delle Occasioni, La bufera e altro appare una raccolta non unitaria ma varia per tempi di composizione, temi e intonazione poetica.
Il nucleo più unitario è certo il primo, quello di Finisterre: sono quindici poesie fortemente influenzate dalla congiuntura bellica.
Per la prima volta la storia entra con tragica violenza nella poesia montaliana: la seconda guerra mondiale diventa cupo sottofondo delle liriche di Finisterre.
La guerra non provoca una nuova visione della realtà da parte del poeta, ma semplicemente conferma e accentua il rapporto critico e disarmonico con la realtà, concepita come “assurda, irrazionale e ininterpretabile”.
Il tema dei morti, di parziale ascendenza pascoliana, ha grande spazio nella raccolta.
L’attenzione poetica di Montale rimane dunque legata saldamente alla permanente condizione umana, prima e più che agli eventi storici.
L’ispiratrice delle poesie di Finisterre è ancora Clizia, che riprende e accentua la sua connotazione metafisica orientata in senso religioso (si è detta ”Cristofora”, “portatrice di Cristo”, cioè colei che si fa mediatrice tra terra e cielo).
Nel dopoguerra compare un’altra figura femminile, assai diversa, che Montale stesso definisce ”molto terrestre” e immanente: èla Volpe, nella quale dobbiamo identificare la poetessa Maria Luisa Spaziani (con cui Montale ebbe una relazione).
In lei non è più riconoscibile alcuna salvezza, è piuttosto una sorta di “antibeatrice”.



La produzione degli ultimi decenni

Gli anni sessanta e settanta, costituiscono lo sfondo della seconda stagione poetica montaliana.
Dopo la seconda guerra mondiale e i primi difficili tempi della ricostruzione, lo sviluppo capitalistico e il progresso tecnologico danno vita a una società di massa a cui Montale guarda con un distacco aristocratico e nostalgico.
In questa crisi ideologica, il poeta, nel rimpianto dei vecchi valori che appaiono ormai irrimediabilmente perduti, rivolge alla sottocultura dominante uno sguardo scettico.
Il mondo che incontriamo in Satura, è ormai ridotto a detriti, a scorie, e il negativo è ancor più forte in quanto ormai dilagante.
Il titolo Satura, per ammissione dello stesso Montale, ha più significati:
  1. allude alla vena satirica che percorre la raccolta;
  2. e allude pure al sintagma latino satura lanx, che stava a indicare prima “ un piatto pieno di cibi diversi”;
  3. e poi anche un genere letterario caratterizzato dalla varietà di metri e di temi.
Delle quattro sezioni che comprendono la raccolta (Xenia I. Xenia II, Satura I, Satura II), le prime due costituiscono un piccolo canzoniere scritto in occasione della morte della moglie.
Il poeta rende omaggio alla moglie: compagna affezionata e discreta, rimasta finora quasi completamente assente. Xenia è termine latino che indica i doni fatti a un ospite nel momento in cui lascia la casa che lo ha ospitato.



Il rovesciamento linguistico

In questa nuova stagione poetica il linguaggio di Montale si trasforma, lo stile viene rovesciato: il lessico tende al basso, al prosastico, e può essere definito grosso modo un lessico quotidiano.
Lo stile si fa quello della conversazione quotidiana, antilirico.
All’abbassamento tematico e lessicale si oppone una gabbia metrica e ritmica tradizionale, raffinata, sorvegliatissima, con una predilezione per le forme estreme; i versi tendono ad essere o molto brevi o superiori all’endecasillabo.




da http://www.parafrasando.it/biografie/montale_eugenio.html

giovedì 27 giugno 2013

FUMI...


Diluviava fiori la foresta in lutto
il giorno che lui è andato via
in un gran ritmo di cose ferite.
E, lui partito, il suo ricordo fluttua
a fior della bruma dorata
che l'anima gelosa
dei vecchi cervi scorda
nella foresta dell'assorta loro gioventù.
Ed un pastore zufolava un'aria
che mai più fu riudita 
e lo sperso campano
delle capre sulla montagna
fu presto un lamento 
come la prece del vento sui pendii.

Étienne Léro

lunedì 17 giugno 2013

Calchi e ferri


Chi ha scalciato tra i sogni

in quei marciapiedi di rotaie arrugginite,

cumuli di vite finite sommerse in bianca polvere,
per l'ultimo addio, le spalle bagnate di lacrime. 


di Umberto Salazar

giovedì 13 giugno 2013

Il Respiro del lupo: Danza sulla frontiera

Parte 3 di Il Respiro del lupo

Danza sulla frontiera

Il ragazzo non aveva dormito molto. Aveva passato la maggior parte della notte con la mente soffocata, bloccato in un turbinio di pensieri che lo punzecchiavano appena entrava nello stato di dormiveglia. Ed ora, seduto davanti alla tazza di caffè bollente al tavolo della cucina sentiva ogni fibra del suo corpo cedere alla stanchezza. Tuttavia non era la stanchezza che infastidiva Louis quella mattinata. Da qualche mese percepiva un’asfissiante vibrazione di irrequietezza, la quale era culminata con l’incontro sconvolgente il giorno precedente.
Davanti ai fumi indiani del caffè egli non ricordava lucidamente tutti i momenti passati in sintonia con il lupo; rimembrava solamente lampi di immagini, la corsa istintiva e il respiro tambureggiante di fronte al bianco animale. L’insieme era confuso.
“Louis!”. Il giovane sobbalzò dalla sedia. Davanti a lui  si ergeva il vecchio taglialegna del paese Robert, il quale stringeva in mano un cappello sfibrato dei Cubs.
Era stupito ed imbarazzato da quella visita inaspettata. Non lo aveva sentito entrare dalla porta sul retro ed era stato colto durante la sua intima riflessione. “Wei… Ciao Robert! Non ti ho sentito arrivare. Vuoi caffè? Siediti, siediti pure”.
“Certo, poco però. Ho la pressione alta e il dottore mi ha detto che non dovrei neanche vederlo!”.
“Ti darò una benda per berlo allora!”. “Racconta! Come procede il lavoro invernale?”.
Robert si sedette con fatica, agitando il capo con fare sconfitto, “ Il lavoro? Male Louis. Male. Oramai c’è troppa concorrenza ed essa è diventata animalesca. Spietata, sia con chi il mestiere lo fa da anni, sia con gli alberi e la natura stessa”.
Risistemandosi sulla sedia, il taglialegna iniziò ad innervosirsi visibilmente; strinse le grosse mani rosse e forti ai bordi della sedia di legno scuro.
Disse abbaiando:“Non si possono tagliare alberi giovani e forti e lasciare quelli vecchi e malati. Non c’è più una logica. Forse non è mai esistita”. “No! Non così! Giovanotto mio non intendo continuare e rendermi partecipe di tale scempio”, “Ho fatto il boscaiolo per necessità, non per denaro. Chiedevo ciò che mi serviva e lo prendevo con rispetto”.
La moca del caffè fischiava da qualche minuto, ma Louis era assente. A bocca aperta non riusciva a dare forma, a dare un reale significato al discorso del suo interlocutore. Allo stesso tempo però aveva compreso l’essenza di ciò che Robert stava affermando.
“Giovanotto, la caffettiera!”. E come un fulmine Louis scattò a spegnere il fornello. Non era rimasta neanche una goccia, e la caffettiera era bruciata al suo interno, aveva quasi raggiunto il limite di esplosione. “Che coglione! Va beh… Rob te lo rifaccio, abbi pazienza!”.
“Fa lo stesso Louis, non sono venuto qui per il caffè”. Il vecchio si risistemo sulla sedia e i bordi della sedia vennero stretti ancora di più dalle grosse mani. Era venuto il momento di esporsi, di proporre. Chiese: “Hai ancora la vecchia slitta di tuo padre?”.
“Certo che ce l’ho ancora. Tuttavia è mal ridotta. Le lamine sono da sistemare e parti in legno da cambiare”. “Il freno è da rivedere e le briglie sono da ricucire”.
“Perfetta. Nessun problema. I cani?”.
“Come i cani? Intendi i miei cani?”.
“Di chi altro? Ricordo che tanti anni fa tuo padre aveva la migliore muta dell’isolato. Cavoli tuo padre ne sapeva di cani! E sembrava che conducesse un’automobile al posto di una slitta. Tutti cani obbedivano a lui e dopo lui ad Asha. Che cane stupendo! Assomigliava molto ad un lupo; occhi ghiaccio, manto bianco con rare macchie grigio chiare”.
“Sì! Che cane meraviglioso!” rispose Louis, ricordando il caldo della lingua del cane che lo puliva sempre quando era sporco o infreddolito. Ora batteva forte il cuore, ed il perché era nella compagnia e nell'insegnamento che quel cane gli aveva dato. Era cresciuto lì, in un posto sperduto tra truciolati di legno e freddo. Asha lo aveva accompagnato dall'infanzia fino a gran parte dell’adolescenza. Lo aveva seguito da qualsiasi parte, lasciando sulla neve le grandi impronte. Protetto fino al giorno in cui si imbatterono in un grizzly. Asha non arretrò di un passo e combatté fino alla fine, fino alla fuga del grizzly, fino all'ultima carezza di Louis.
“Non ho più nessun cane, già da quando mio papà è morto”, “Ma perché mi chiedi di cani e di slitte?”.
“Beh… Non sono mai stato bravo a fare i discorsi. Pensavo di partire e pensavo che tu potessi accompagnarmi in questo viaggio”.
Piccole vibrazioni risalirono lungo la spina dorsale di Louis. “In questo viaggio?”.
“Si, sei giovane. Mi potresti essere d’aiuto e io a te”.
Louis di risposta aggiunse: “Ma cosa intendi con viaggio?”, “Quanti giorni? Ti serve una mano con il lavoro?”
“Macché lavoro! Che si fotta il lavoro! Giovanotto non pensi che sei qui sulla Terra per un motivo molto più importante che spaccarsi la schiena e lavorare tutto il giorno per tutti i giorni della tua vita. Per di più,  nel momento in cui non lavori ti senti in dovere di mostrarti impegnato, di dimostrare sempre e comunque qualcosa”.
“Fai della filosofia ora? Rob, io ho bisogno di lavorare, non ho molti soldi e pochi ne avevo prima che mio papà morisse. Dimmi come potrei lasciare tutto e partire? E una volta tornato cosa potrei fare? Rimarrò indietro con tutto”.
“Cosa lasci Louis? Pensavo non avessi granché da fare qua!”. La risposta del vecchio aveva colpito inconsapevolmente la profonda incertezza di Louis, nate negli anni a seguire. Senza un posto di lavoro fisso, senza alcun legame di parentela e affettivo, senza una reale passione, se non per la natura circostante. Cosa allora lo stava facendo dubitare? Cosa lo fermava nell’arruolarsi per quel viaggio, non conoscendo né tempo, né rotta, né destinazione?
Si sedette di fronte a Rob e senza forzature e vergogna disse: “Mi blocca la paura. Ho paura di andare via e scoprire poi che la cosa giusta era rimanere”, “Ho paura di lasciare tutto”. Nel confessare tutto ciò guardò negli occhi il vecchio. Il sorriso che nacque da quel volto battuto dal tempo lo stravolse completamente. Scoprì una lacrima camminare lungo la guancia.
“Lou! È normale avere paura, assolutamente normale. Comprendi che nulla di materiale è esente dalla potente energia della paura, tuttavia se consideri tale normalità, la paura perderà potere, che sarà tuo. Con tale potenzialità potrai danzare con la paura, potrai usufruirne a tuo rischio e responsabilità. Potrai prenderla in giro. E non pensare che stia parlando di coraggio. No. E non pensare di potere cogliere tutto nelle mie parole”. Il vecchio Rob si alzò e aggiunse: “Non ti obbligo, questo no di sicuro. Fa ciò che ti senti”.
“Lo so che non mi stai obbligando”.
“Sappi che il mondo è tuo, perché io ho il mio. Ma possiamo condividerlo, fino in America del sud”.
“E cosa ci servirebbero le slitte e i cani per questo viaggio?”.
“Loui non fare il comodo, questa vuol essere un’avventura, o viaggio-avventura”, “Senza aerei, autobus, automobili, moto. Senza alcun mezzo che inquina. O a piedi, o in bici e Lou, nel nostro caso dobbiamo percorrere un lungo tratto innevato di Alaska e Canada”. A quel punto Rob tirò fuori la sua pipa e l’accese. “Tieni! Fa un tiro!”.
“Ho smesso”.
“Dilettante. Ricorda che se non hai un vizio, devi creartelo”.
“E tu ricorda di ammazzare il vizio prima che il vizio ti ammazzi!”
“Per una pipa ogni tanto. Comunque se ne vuoi sapere di più devi venire. Tu la tua slitta, io la mia”.
“E per i soldi. Io non ne ho molti. Per la slitta e cani riesco a pagare, per il dopo no. Sai che qui il terreno non si vende. Nessuno compra”.
“Non preoccuparti. Io sono vecchio, mia figlia ha la sua vita e di conseguenza a me i soldi non servono. Ti do i miei e li condividiamo, solamente se ci stai però”, “Ora non hai più scuse giovincello!”.
Era vero. Non aveva più scuse e aveva ancora paura. Che fare? Doveva e voleva decidere subito.
“Poi giovanotto, tutti gli uomini hanno un’amante messicana”.
“Non penso siano il massimo. Vorrà dire che tu prendi le messicane e le brutte e io tutte quelle belle e sorprendenti”.
“Questo sarebbe un si?” chiese il vecchio ergendosi dalla sua sedia.
“Direi di si”.
“Allora posso spiegarti cosa ho in mente. Si parte senza programma, diretti in America del sud”, “ Ti sta bene?”.

“Non lo so se mi stia bene tutto ciò. Penso non mi importi molto. Sto danzando sulla frontiera della paura e  dell'ansia”. 
                                                                                                         di Ermanno Gelain

lunedì 10 giugno 2013

Lorenzo Cherubini Jovanotti, La linea d'ombra

La linea d'ombra la nebbia che io vedo a me davanti per la prima volta nella vita mia mi trovo a saper quello che lascio e a non saper immaginar quello che trovo mi offrono un incarico di responsabilità portare questa nave verso una rotta che nessuno sa è la mia età a mezz'aria in questa condizione di stabilità precaria ipnotizzato dalle pale di un ventilatore sul soffitto mi giro e mi rigiro sul mio letto mi muovo col passo pesante in questa stanza umida di un porto che non ricordo il nome il fondo del caffè confonde il dove e il come e per la prima volta so cos'è la nostalgia la commozione nel mio bagaglio panni sporchi di navigazione per ogni strappo un porto per ogni porto in testa una canzone è dolce stare in mare quando son gli altri a far la direzione senza preoccupazione soltanto fare ciò che c'è da fare e cullati dall'onda notturna sognare la mamma... il mare. 
Mi offrono un incarico di responsabilità mi hanno detto che una nave c'ha bisogno di un comandante mi hanno detto che la paga è interessante e che il carico è segreto ed importante il pensiero della responsabilità si è fatto grosso è come dover saltare al di là di un fosso che mi divide dai tempi spensierati di un passato che è passato saltare verso il tempo indefinito dell'essere adulto di fronte a me la nebbia mi nasconde la risposta alla mia paura cosa sarò dove mi condurrà la mia natura? La faccia di mio padre prende forma sullo specchio lui giovane io vecchio le sue parole che rimbombano dentro al mio orecchio "la vita non è facile ci vuole sacrificio un giorno te ne accorgerai e mi dirai se ho ragione" arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione e adesso è questo giorno di monsone col vento che non ha una direzione guardando il cielo un senso di oppressione ma è la mia età dove si sa come si era e non si sa dove si va, cosa si sarà che responsabilità si hanno nei confronti degli esseri umani che ti vivono accanto e attraverso questo vetro vedo il mondo come una scacchiera dove ogni mossa che io faccio può cambiare la partita intera ed ho paura di essere mangiato ed ho paura pure di mangiare mi perdo nelle letture, i libri dello zen ed il vangelo l'astrologia che mi racconta il cielo galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare ma questa linea d'ombra non me la fa incontrare. Mi offrono un incarico di responsabilità non so cos'è il coraggio se prendere e mollare tutto se scegliere la fuga od affrontare questa realtà difficile da interpretare ma bella da esplorare provare a immaginare cosa sarò quando avrò attraversato il mare portato questo carico importante a destinazione dove sarò al riparo dal prossimo monsone mi offrono un incarico di responsabilità domani andrò giù al porto e gli dirò che sono pronto a partire getterò i bagagli in mare studierò le carte e aspetterò di sapere per dove si parte quando si parte e quando passerà il monsone dirò levate l'ancora diritta avanti tutta questa è la rotta questa è la direzione questa è la decisione.