giovedì 31 ottobre 2013

Insegnamenti.

da Il filo unisce, 

Tutto era accaduto cento metri prima di uscire da quella che era stata un’arrampicata faticosa, lunga e stressante
Gli imprevisti non erano mancati. A Sean erano volati via dalle mani appigli apparentemente solidi, causando cadute di metri e metri ed alla sua compagna l’inconveniente di dover sopportare l’ira che si scatenava dopo ogni volo. Quel giorno la roccia sembrava voler spingere la coppia giù, verso la base. Forse un modo per esprimere la volontà di non voler esser scalata, di non voler esser sfiorata, ma all'uomo non interessava e non dava seguito ai messaggi. Voleva arrivare in cima. La roccia e Clare dovevano fare silenzio.
Ma ora, in quei cento metri prima di terminare la parete qualcosa era successo. Recuperando Clare, l’anello di sosta del terrazzino aveva ceduto, staccandosi completamente dalla roccia. La mancanza di scarico del peso aveva catapultato Sean a testa in giù nel vuoto più totale, tenuto solamente da un chiodo piantato come ulteriore sicurezza, dopo aver visto le condizioni dell’anello arrugginito.

Immaginate un filo teso, così teso da produrre suono se mosso. Immaginate che esso non possa cadere nelle mani della sarta solamente grazie ad un piccolissimo ago conficcato nella stoffa. Immaginate l’instabilità di quell’unione con la vita e riportatela a Clare e Sean, i quali si trovavano agli estremi della corda, ambedue in aria a 1300 metri dal suolo sassoso.
Sean non sapeva cosa fare; la pressione della compagna lo stava sfibrando e gli impediva qualsiasi movimento. Come Clare, lui era troppo distante dalla roccia per potersi avvicinare, attaccare e affievolire il suono del filo.
Respirare voleva dire mandare giù bolle d’aria caldissima; gli occhi infiammati, lucidi e affondati nel panico incontrarono quelli di Clare, i quali capivano bene la situazione, ma erano tutt’altro che impauriti.
Nel profondo azzurro, ricamato da sottili linee di bianco pizzo e verde muschio, c’era qualcosa che si esprimeva; qualcosa di immenso. Qualcosa che non agitava, ma calmava il respiro del suo compagno. Rapito, lui scavò sempre più a fondo, e scoprì che l’azzurro, il bianco e il verde in realtà si fondevano insieme, variando colore e forma. Si accorse di non riuscir più a definire il colore degli occhi. Tuttavia ciò non era importante e passava in secondo piano rispetto a quel qualcosa che aveva visto nel profondo. E quel Qualcosa prese ancora più potenza, quando gli occhi di lei si bagnarono e illuminati dal riflesso del coltello tagliarono il filo. L’estremo cadde nelle mani della sarta. Un brivido partì dalle spalle e fluì fino alle nuca dell’uomo.

Le pupille di lui rimandavano la figura della donna che stava volando giù. Precipitavano gli occhi, le labbra rosse e generose assieme ai capelli oro, aquiloni che si libravano in cielo. Quella donna, inarrivabile da tutti. Bellissima, intelligente, era stata per lui imbarazzo iniziale, conquista e stupore nel momento in cui disse: “Sì, esco con te, a patto che non mi porti ad arrampicare, perché ho paura”. Una promessa non mantenuta.
Quella donna che stava rispondendo alle leggi della gravità aveva rivoluzionato totalmente il suo modo di vivere, di porsi in relazione. Con Clare bisognava prima di tutto amarsi in maniera profonda.  Nessuna differenza tra sé e l’altro.

Libero dal peso, ora era in grado di risalire la corda, ma rimase immobile a testa in giù.
Il respiro ora era così profondo da ricoprire qualsiasi rumore di sottofondo. I suoi occhi sott'acqua cercavano di guardare le cime delle montagna innevate.
La luce riflessa nella neve distante luccicava nella mente dell’uomo salvo. In quel momento di bagliori e di riflessi il pianto iniziò e finì scorgendo il mare, il blu intenso.
Il blu intenso e il respiro simile all'andare e al tornare delle onde.
Lui grazie al sacrificio di lei era salvo. Ora doveva mettere in pratica da solo ciò che lei aveva insegnato.

Doveva risalire la corda.

                                                                                                                                        di Ermanno Gelain 

martedì 29 ottobre 2013

Alessandro Baricco


- Voi dovete essere Bartleboom.
Bartleboom, veramente, aspettava un'onda. O qualcosa del genere. Alzò lo sguardo e vide una donna, chiusa in un elegante mantello viola.
- Bartleboom, sì... professor Ismael Bartleboom.
- Avete perso qualcosa?
Bartleboom si rese conto che se ne era rimasto chino in avanti, ancora irrigidito nello scientifico profilo dello strumento ottico in cui si era tramutato. Si raddrizzò con tutta la naturalezza di cui fu capace. Pochissima.
- No. Sto lavorando.
- Lavorando?
- Sì, faccio... faccio delle ricerche, sapete, delle ricerche...
- Ah.
- Delle ricerche scientifiche, voglio dire...
- Scientifiche.
- Sì.
Silenzio. La donna si strinse nel suo mantello viola.
- Conchiglie, licheni, cose del genere?
- No, onde.
Così: onde. 
- Cioè... vedete lì, dove l'acqua arriva... sale sulla spiaggia poi si ferma... ecco, proprio quel punto, dove si ferma... dura proprio solo un attimo, guardate, ecco, ad esempio, lì... vedete che dura solo un attimo, poi sparisce, ma se uno riuscisse a fermare quell'attimo... quando l'acqua si ferma, proprio quel punto, quella curva... è quello che io studio. Dove l'acqua si ferma.
- E cosa c'è da studiare?
- Bé, è un punto importante... a volte non ci si fa caso, ma se ci pensate bene lì succede qualcosa di straordinario, di... straordinario.
- Veramente?
Bartleboom si sporse leggermente verso la donna. Si sarebbe detto che avesse un segreto da dire quando disse 
- Lì finisce il mare.
Il mare immenso, l'oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, l'immane mare onnipotente - c'è un luogo dove finisce, e un istante - l'immenso mare, un luogo piccolissimo e un istante da nulla. Questo, voleva dire Bartleboom. 

  
                                                                                                       Alessandro Barico, Oceano Mare. Pag. 32, 33