martedì 1 dicembre 2015

Non si può far altro che esprimersi.



Ero seduto ad aspettare il treno in direzione di casa.
Le persone scivolavano via come marea; chi aspettava di partire, chi di tornare, chi attendeva con fiato sincero qualcuno di essenziale. 
Ognuno esprimeva il suo ritmo e partecipava al flusso della stazione, come un treno che partiva e tornava. 

Una signora arrivò e affianco a me aprì la valigia, un semplice gesto che espresse di lei parti intime, un reggiseno con coppa abbondante, il quale venne coperto velocemente da un maglione verde acqua. 

Un uomo si fermò e guardò il passeggino per qualche secondo.
Sulla trentina, fisico alto e atletico. Né in montagna, né in palestra, era lì e con il fare atletico lo chiuse. 
Alzò lo sguardo e ammirò la compagna con il bozzolo caldo del bambino. 
Lo sguardo espresse tutta la lunga catena di scelte che lo avevano portato a chiudere il passeggino.

Una ragazza si alzò dopo aver suonato la tastiera bianconera del pianoforte in stazione. Venne vicino a me e consultò l'orario di partenza. 
I suoi occhi esprimevano estasi, e con essi stava suonando, ancora.




                                                                                                                                       E.

martedì 25 agosto 2015

Lezioni di geometria




Gli disse che gli incontri e gli addii erano naturali, umani.
Gli disse che alcune persone si comportano come le linee rette. Esse condividono insieme il tempo e lo spazio e, o rimangono estranei e distanti, oppure, nel migliore dei casi diventano una singola sintonia.
Altri, gli disse, non condividono tutto, si osservano e rimangono a breve distanza l'una dall'altra, sempre. Si chiamano linee parallele.
Altri, le sue preferite, si scontrano e sconvolgono le loro vite irrimediabilmente. Nello scontro le due linee formano un punto, e in quel punto grande come la capocchia di uno spillo c'è una strana sfumatura, il cambiamento di tutta una vita, gli disse.
Gli disse che tutti vogliono linee rette senza tanti punti, perché si ha paura di avere troppi segmenti.


                                                                                                                                     E.   

sabato 25 luglio 2015

Calcore le linee rette di due sguardi.

Ah quanto le odio le serate di musica live.
Con tutti i locali che ci sono, proprio qui dovevano organizzare questo concerto?
Almeno fossero bravi.
Guarda quel ragazzo, che con quella chioma sembra una scopa.

Anawak odiava le serate che non rientravano nel suo schema quotidiano, soprattutto se disturbavano la quiete del bar prediletto. Troppe implicazioni in una festa, figurarsi durante un concerto. Esso comportava perdere il suo tavolino abituale e dover sorseggiare mal volentieri il suo Vecchio Amaro del Capo in piedi, tra la gente che si spintona, suda e urla. Per la gente era divertimento, per quell'uomo irrequietudine.
No, no. Non voleva né concerti,né feste a tema. Non se ne parlava neanche di aperitivi con musica Lounge e patatine nelle ciotole.
Quella sera Anawak, un uomo sulla quarantina, aveva percorso i binari verso il bar. I pini marittimi lungo il viale rumoreggiavano ai deboli venti,  le betulle indossavano l’arancio dell’abito serale. L’aria era piena di sentimento; la libertà dei bambini che giocavano fino all'imbrunire per poi rincasare con le gambe piede di punture e graffi, la creazione delle casalinghe che cucinavano ciò che i mariti mai si sarebbero aspettati, la lentezza lieta degli anziani, che si radunavano con le sedie nei punti morti delle strade e iniziavano ad osservare il respiro del paese nelle ore serali di giugno.
Con questa atmosfera fece l’ultimo passo ed entrò nel bar, ciò che vedette cambiò il suo umore all'istante.

M A… M A Y H E.. M A Y H E M..
Wei giovanotto? Mayhem? Cosa pensi di fare con tutta questa cianfrusaglia proprio all'entrata?

Il ragazzo con maglietta nera metal dei Mayhem non risposte. Andava qua e là; prendeva i cavi; montava le casse. Nulla era successo, se non il doppio pedale che batteva nelle cuffiette del mp3.

Ma porca p……! Wei pivello!?  E la botta sulla spalla servì ad attirare l’audience.

Salve! Eh… il concerto inizia alle…

Salve glielo dici ai tuoi amici depravati! Cosa succede qui?

Cosa poteva fare un giovane adolescente con una coda di capelli lunghi e i primi accenni di barba contro l’irruenza di anni di routine e solitudine?

Dai! Togli tutto da qui che voglio il passaggio libero!

Anawak, lasciami lavorare in pace il ragazzo. Deve preparare tutto per stasera e manca solo un ora e mezza al concerto.

Concerto? No Robert, ci risiamo…

Vieni qua che ti offro da bere. Amaro?

Io non capisco perché devi far venire questi depravati a far casin…. EHI! STA FERMO CON QUEL TAVOLINO ALTRIMENTI  TI TAGLIO I CAPELLI E LI VENDO COME EXTANSION!

Clark! Abbi pazienza, spostalo di un metro solamente.  Sì, più a destra e basta! 
Ecco l’amaro. E lo sai anche tu che ogni tanto si organizza un concerto. Non fare il broncio e apriti un po’. Saranno anche tutti giovani. Dai su!

Sono già stato giovane una volta, non mi servono dei pivellini per ricordarmelo!

Robert consegnò il bicchiere offerto insieme al telecomando della televisione e il giornale e lo esortò 
Siediti pure al tuo tavolino e rilassati.

Anawak non poteva rilassarsi, per niente. Aprì la bocca e bevve il primo bicchiere. Lesse la cronaca nera del giornale. Ordinò un altro bicchiere e lesse di un uomo che aveva trovato uno scrigno in giardino, stava facendo il buco per la piscina. Ridicolo!  E sorseggiò il liquore.
Stava leggendo di un’anziana girovaga quando si accorse che il bar si stava riempiendo velocemente di persone.  Mamma mia! Ci siamo!  Finì l’amaro ma non cambiò il bicchiere, che si riempì di nuovo.

Buonasera gente! Noi siamo i Sant Wave Experience e siamo qui per spaccare!

Anawak accese subito la televisione dal suo tavolino, creando una suspense di sguardi tra lui ed il cantante. Poi la band iniziò in sol il loro concerto. L’uomo sulla quarantina si arrese, girò per minuti interminabili i canali della piccola televisione di fronte a lui, dando quasi le spalle al palco e alla moltitudine di giovani fans.
Non si accorse che era quasi finito il quarto bicchiere. I suoi occhi erano persi nelle battute della partita di Cricket mandata in differita. Il rumore oramai aveva rodato le sue orecchie. Buttò giù e cercò subito lo sguardo di Robert per l’ultima bevuta.



Il battitore in televisione aveva colpito in maniera perfetta la palla nel medesimo istante in cui al cantante cade una goccia di sudore dal naso.  Nello stesso momento il bassista avvertì il panico di aver steccato la nota e girò lo sguardo verso il cugino chitarrista che stava osservando la ragazza che gli piaceva flirtare con un ragazzo più grande.  Chi stava arrivando e chi stava andando via. C’era movimento nel locale.

Tutto si muoveva tranne tre persone. Anawak aveva interrotto le sue azioni. Cercava di deglutire il nodo alla gola e riaprire i polmoni chiusi. Osservava quel ragazzo e quella ragazza,  distanti l’uno dall'altra di tre mattonelle da trenta centimetri l’una. Il cuore era più grande del suo corpo da tanto che pulsava. La logica non esisteva in quell'istante. Osservava lo sguardo del ragazzo e da quegli occhi in linea retta si arrivava allo sguardo della ragazza.  Rifece il nodo più forte, e i polmoni si sgonfiarono totalmente. Il cuore era arrivato alle orecchie.  Lo stomaco confermò la sua presenza. Le mani sudate, fredde.
Tutto il movimento era sospeso.
La sospensione tra due persone che si guardano per la prima volta o si ritrovano per la prima volta. La sospensione di sguardi che scovano nel medesimo istante di una battuta perfetta e di una goccia di sudore ciò che piace ancora. Gli occhi non si oppongono mai, si ricordò.

Perché non finiva con un…. Anawak interruppe il pensiero e chiuse gli occhi.
E tutto finì con un bacio. 


                                                                                                                 E.G.





mercoledì 20 maggio 2015

Tante parole per l'amore


Un passo dopo l’altro procedeva lungo il viale alberato. L’anca doleva come al solito, tuttavia il nonno era entusiasta, si stava dirigendo a casa del suo nipotino per la consueta mattinata nel parco comunale e tutto era al posto giusto; il sole iniziava a rincuorare i pedoni della città e gli alberi sembravano chiassosi per le strade, come al mercato, dove nelle bancarelle i fusti scuotevano le loro tonalità di verde al miglior osservatore. Era una meraviglia la primavera e non per caso qualche giorno fa l’uomo aveva trovato in una scatola in cantina il libro di Scienze: V B  Giulia, sua figlia, che mai si sarebbe immaginata suo padre studiare per giorni e giorni al fine di insegnare al bambino di cinque anni i fiori e le piante. Ed in quel giorno si sarebbe tenuta la lezione!  
Mentre camminava il nonno osservava qualsiasi pianta, fiore, erba. Ripassava mentalmente il sermone di Scienze. Stimma, fusto, peli radicali, petalo… no aspetta. Ahn si! Si può dire anche corolla. Tiglio, betulla, pino marittimo, cedro… “Ciao nonno!” tigmotropismo, “Nonno! Ciao!”, chemiotropismo, “NONNO!”, “Eliotrop… Elia! Ciao! Sei pronto?”

“Sì”.

“La mamma dov'è?” .

“Ti ha visto arrivare ed è andata con il papà in macchina”.

“Lasciandoti qua da solo? Che pazzi!”, “Va beh. Dammi la mano che attraversiamo. Sai dove andiamo oggi?”.

“Andiamo al centro dei giochi?”

“No. Cosa sarebbe il centro dei giochi?”.

“Dove ci sono giochi nonno!”.

“No so, ma no. Un posto ancora più bello!”.

“Nonno, ma il centro dei giochi è il posto più bello”.

“Attento alla cacca lì per terra! No, ma fidati del nonno che ti piacerà, ci sono giochi anche lì”.

“Va bene”.

“Allora cosa hai fatto ieri a scuola?”

“Le tabelline, una poesia, una canzone con il piffero e io ho fatto un aeroplano”.

“Un aeroplano? Tutto da solo?”.

“Un aeroplano di carta nonno”.

“e avete studiato le piante, i fiori? Per esempio, che pianta è quella lì?”.  Mentalmente aveva ripassato il nome e la classe: Platanus della famiglia delle Platanaceae.

“Che pianta è?”

Perfetto! Ora iniziava il momento che stava aspettando: “ Elia, quello è un Platano e il suo nome scientifico è Platanus della famiglia delle Platanaceae e uno dei più grandi platani può sorreggere cento uomini. Che bello o no?”… “Ti piace?”

“Si!”

“Guarda! Un fiore rosso! Sai che fiore è?”

“Che fiore è?”

Rosa, famiglia Rosaceae: “Quel fiore è una rosa della famiglia delle Rosaceae?”

“E dov'è la sua famiglia?”

“Ah… no. La famiglia è una classificazione del fiore, viene usata dagli scienziati per avere più ordine e..” “Nonno cos'è l’amore?”.

A che capitolo era la riproduzione? Forse era il volume secondo… “L’amore è un sentimento. Tua mamma e tuo papà ti amano e si amano”.

“E come lo sai?”

“Beh ti amano perché sei il loro bambino e ti hanno voluto insieme”.

“E come sai che si amano?”

“Eeeperchè sono insieme e sono con te una famiglia”.

“E se sono distanti si amano lo stesso?”

Il nonno si fermò lentamente, con l’ultimo passo che scivolo sul marciapiede adiacente all'immenso parco comunale della città. Osservò il piccolo ed era lì in attesa. “Come mai me lo chiedi?”, “Vuoi che ci sediamo su quella panchina?”.

“Sì. Tu mi hai detto che il papà e la mamma si amano perché sono insieme, ma se sono lontani?”

“Se fossero lontani?! Ma non sono lontani i tuoi genitori. Perché me lo chiedi?”

“Perché… due persone si amano anche se sono lontani?”

In quel preciso momento scattò nella mente del vecchio le immagini della gioventù. La bottiglia di vino, il tavolo che mostrava i punti di briscola incisi nel legno e i suoi compagni di avventure, e gira che rigira i discorsi era sempre gli stessi: le ragazze e l’amore. Si sedettero sulla panchina e il nonno guardò l’espressione del bambino in attesa: “Sì, si amano anche se sono lontani”.

“E allora, che cos'è l’amore?”.

“Elia, l’amore è un sentimento molto forte. Quando due persone si vogliono tanto bene, si amano”.

“E come fanno ad amarsi?”.

Era stata una situazione imbarazzante quando un giorno sua figlia gli chiese come nascevano i bambini. E così si era fatto prestare una piccola lavagnetta per disegnare gli apparati riproduttori maschili e femminili  e con due bottiglie d’acqua, tanto caldo e un’ora intensa di descrizioni non aveva concluso molto. La bambina era andata sconvolta dalla mamma a piangere. “Forse è meglio che tu vada al mercato e vedi se riesci a trovare i cavoli! Sono sicura che li trovi! Non so proprio cosa ti è saltato in mente…”, sua moglie lo aveva cacciato fuori casa per un giorno intero. E ora l’argomento non era imbarazzante, ma complicato. Come poteva rispondere nel modo più appropriato?

“Due persone si amano quando stanno bene insieme, quando si trovano, si parlano e si capiscono. Si comprendono. Condividono. Costruiscono  e portano avanti un’idea insieme”. Man mano le parole andava a diminuire d’intensità fino a terminare in un bisbiglio. Aveva percepito il pensiero del nipote esprimere cosa stai dicendo?

“Nonno, non ho capito”.

“Forse lo capirai quando sarai più grande dai… ora vediamo se riconosci quel fiore?”

“Perché solo quando sarò grande? Tu lo hai capito quando eri più grande?”.

“Beh. In parte l’ho capito, ma forse non riesco a spiegarti bene perché. È una parola molto vasta che include molte variabili… Prova a dirmi tu. Non so spiegartelo”.

...“Cos'è per te l’amore?”

“L’amore è quando due persone si vogliono tanto bene, non si sa perché, ma vogliono stare vicini, baciarsi sulla bocca e giocare insieme al centro dei giochi”,

“E poi?”.


“Basta”, “Nonno, che cos'è quel fiore?”.


                                                                                          di Ermanno G.