mercoledì 3 aprile 2013

Il Respiro del lupo: L'amore in una fotografia



Parte 2 di Il Respiro del lupo

L'amore in una fotografia

Alle sei del mattino risuonò la sveglia per tutta la casa e senza perdere istanti preziosi Robert si alzò automaticamente. A pieni polmoni ricordò l’avvenimento del giorno precedente. Non era stato un sogno e con la notte la sua decisione non aveva perso d’intensità. Sebbene fosse padre, sua figlia oramai era grande e si era trasferita con la propria prole in una "vera" cittadina, lontano da quei paesaggi ghiacciati e stridenti con le nuove generazioni e con le nuove richieste dal mondo. A malincuore percepì che doveva slegarsi dalla sua piccola casetta nel piccolissimo paese, sputato nell'immensa Alaska. Doveva lasciarsi finalmente dietro una monastica vita, scandita dal lavoro, dal freddo e dai sacrifici.
Fece colazione velocemente e si vestì. In bagno si guardò allo specchio. Occhi scuri, pelle rugosa e colorata di rosa dalle basse temperature quotidiane. I suoi capelli e la sua folta barba avevano deciso decenni prima di  imbiancarsi, forse nel tentativo di mimetizzarsi nell'ambientazione esterna. Egli non era molto alto, ma l’altezza bastò per riuscir a svolgere i duri compiti di boscaiolo e di musher, guidatore di slitte nei periodi di necessità economiche. La sua figura robusta e ben piazzata rimandava al carpino, l’albero che nei pendii scoscesi sfida  da secoli le montagne, le quali con indifferenza scagliano contro il tronco sassi, fango, neve e freddo. Come il carpino, Robert aveva imparato a riparare le fratture superficiali, ma nella profondità invisibile i crepi erano rimasti, presenti e doloranti. Era per questo che ora stava indossando la giacca pensante, il berretto e la sciarpa. Prese le chiavi dell’auto. A quel punto però il suo tronco fece “Crack”, il tipico suono del legno spezzato. Sul tavolino dell'entrata principale posava una cornice. Era sua moglie che lo ammirava con sguardo affascinato ed innamorato, come aveva sempre fatto durante la loro vita condivisa tra quelle pareti. Con le chiavi del pick-up in mano Robert si vergognò profondamente. Sentiva che la stava scaricando in maniera troppo frettolosa e disinteressata. Come poteva dopo averla corteggiata per anni, con tanta fatica, tante delusioni e tanti contendenti dei paesi limitrofi? Lei, donna affascinante e carismatica, era rimasta inizialmente indifferente ai suoi corteggiamenti, per poi sciogliersi magicamente tra le sue braccia dopo un “Ti voglio vivere”, l'ultimo tentativo. Lì in piedi ricordava il matrimonio, l’odore del primo caffè, la prima cena romantica e l’estate tiepida, affaticati nella costruzione della loro casa. Ricordava che non aveva mai mangiato da solo; Annette si svegliava con lui prestissimo e lo aspettava fino a notte inoltrata, cercando di mantenere la cena e la casa calda. La ricordava sdraiata sul divano, accarezzarsi le curve perfette del pancione e guardalo con gli occhi gioiosi e un po’ lucidi. Come faceva ora a far scivolare via tutto senza ritegno? Le sue paure più intime e segrete le aveva prese e mostrate a lei, lei con il sorriso aveva fatto altrettanto e mai lo aveva giudicato.
Fu grazie a tutto ciò che nello scaglione dei cinquant'anni  quando i due corpi iniziarono a riassumere il tempo, il sentimento cambiò, seguendo istintivamente lo stesso amore di sempre.
Ricordava come fosse ieri il lungo tragitto verso Kodiak, con l’obiettivo di andare ad esaudire il loro desiderio, attraversare l’America latina e assaporare il sole e il caldo. Guardarsi per più di un’ora in costume sdraiati sulla sabbia. Lui ricordava ancora tutto perfettamente, sua moglie Annette invece aveva iniziato a confondersi e a dimenticare prima le chiavi di casa, poi la spesa in drogheria, i nomi degli amici, dei vicini, di sua figlia, dei suoi nipoti. Fino al momento in cui quegli occhi scuri, per lui sempre stati accattivanti e pieni d’intesa, cambiarono del tutto e dimenticarono anche il nome del marito ed il suo. Da allora ci furono pochi mesi faticosi per Robert, ma dediti alla sua “ragazza” fino alla fine. Il ricordo che chiudeva la lunga fila era la prima colazione e la prima cena da solo.
L’orologio scoccò le sette e fece comprendere al vecchio che aveva passato circa venti minuti davanti alla cornice. Si accorse che la vista era annacquata e il respiro entrava e usciva difficilmente. Strette e doloranti nella morsa delle mani c’erano le chiavi. D’impulso afferrò la cornice e liberò la foto. Se la mise in tasca e non contento ne prese un’altra di loro due, giovani e imberrettati per il freddo, e infine una della figlia Madaleine con i nipoti. Forse non era pronto per partire, ma non voleva aspettare i seguenti “Crack”, poiché tra lo scrocchiare del legno poteva celarsi quello definitivo, abbattendo così il carpino.
Inoltre, alla visione dell’incontro selvaggio tra il giovane e il lupo bianco, qualcosa in lui si era destato e ora appariva chiaro. Voleva che il giovane Louis venisse con lui, perché con lui aveva iniziato a crescere, lavorando sodamente. Voleva che condividesse il viaggio, forse senza ritorno. Perché, dopo un'attenta analisi, si rese conto che quel giovane animo solitario non era adatto alle lande desolate. Sapeva che il giovane Louis era cambiato nettamente dopo l’incontro. E così serrò la porta principale e accese il pick-up bianco dal freddo. Avrebbe detto tutto al giovane e avrebbe poi aspettato una sua risposta. Nel frattempo aveva già preparato la sua slitta, i bagagli e aveva richiamato la muta di cani che fremevano di rompere il bianco strato nevoso. Il richiamo a qualcosa di nuovo era iniziato. Forse lo stesso valeva per Louis. Ingranò e partì.

                                                                                                      di Ermanno Gelain